Elogio all’uguaglianza e all’accettazione dell’opinione altrui

viale alberato

Le società umane sono crogioli di idee, punti di vista, opinioni differenti. Talmente differenti da essere spesso anche diametralmente opposte. Oltretutto, al crescere del numero degli individui presenti in una società crescerà in ampiezza la gamma di opinioni differenti in essa presenti. Ciò che noi chiamiamo democrazia nasce essenzialmente allo scopo di dare voce a ognuna di queste opinioni o, per usare un altro termine, di riconoscerne il valore. Il valore dell’opinione altrui è qualcosa che non ha di per sé un volto o una forma. Tuttavia, riveste un’estrema importanza. È, in effetti, addirittura fondamentale.

Accettare, ancor prima di comprendere, l’opinione altrui, e con ciò mi riferisco a darne il giusto valore, ossia il valore che diamo alle nostre stesse opinioni, ci permette di vedere il mondo con un occhio maggiormente critico, di osservarlo da diverse angolazioni, giovandoci della consapevolezza derivante dall’osservare il mondo da diversi punti di vista. Ci aiuta, inoltre, a ricordare qualcosa che nonostante sembri banale capita spesso di dimenticare: tutti gli esseri umani sono uguali.

Questa asserzione provoca la naturale conseguenza che l’opinione di ognuno abbia uguale valore rispetto a quella di tutti gli altri. Spesso, qualcuno potrebbe obiettare, l’uguaglianza non è di fatto garantita dalle istituzioni statali. Obiezione calzante, ma noi ci stiamo adesso occupando di indagare un fenomeno sotto il profilo filosofico, cioè dobbiamo comprendere cosa risponda a requisiti di giustizia; verificare come e se le istituzioni ottemperino a essi toccherà poi all’esame politico relativo al problema.

Dunque, abbiamo definito che le opinioni degli individui hanno tutte uguale valore. Per comprenderne più agilmente il motivo, indaghiamo degli esempi reali, affinché essi possano chiarire le dinamiche inerenti a tale definizione.

Le difficoltà che insistono sull’accettazione dell’opinione altrui e il grande valore che essa ricopre

L’esistenza di opinioni diverse, e talvolta opposte fra loro, provoca di certo dei malumori. Ciò è abbastanza palese, ed è un fenomeno che si attiva, in ogni più banale discussione o scambio di opinioni venga fatto, per diventare veramente determinante al crescere dell’importanza dei discorsi, ossia di quanto ognuno reputi importante la discussione stessa e la sua posizione nel merito. Si pensi, ad esempio, ai dialoghi che hanno per oggetto un tema politico. In ogni tipo di dibattito, dunque, qualunque sia l’importanza dell’oggetto trattato, le opinioni altrui, quando contrarie alle nostre, diventano troppo spesso degli ostacoli da superare, spesso da abbattere, al fine di raggiungere semplicemente, quand’anche ciecamente, l’obiettivo di far prevalere il nostro punto di vista.

Questa esigenza, o abitudine, si fa più pressante, abbiamo detto, al crescere dell’importanza, per gli oratori, del discorso stesso. Non solo. Allorché si incappi in un periodo difficile, problematico e cupo sotto i più vari aspetti, l’accettazione del punto di vista altrui diviene ancora più ardua. Ciò deriva da un processo psicologico piuttosto comune negli individui. L’attraversamento di un periodo buio, negativo, pieno di difficoltà da superare, e si pensi ad esempio a un periodo in cui lo stato non goda di piena salute economica e politica come quello attuale, provoca un senso di crescente frustrazione negli individui. Sensazione che aumenta lentamente, come un morbo, man mano che ci si rende conto della propria incapacità di porre un rimedio a tale situazione negativa. Ci si impegna, si profondono grandi sforzi, eppure non si riesce a cambiare lo stato delle cose, e allora la frustrazione continua a crescere.

È questo un momento cruciale, in cui si è chiamati a fare i conti con sé stessi, ad accettare la propria debolezza. Accettazione che per molti diventa difficilissima. Per costoro succede qualcosa di diverso: l’incapacità di accettare la propria piccolezza e insignificanza di fronte alla grandezza dei problemi del mondo spinge a ricercare dei colpevoli all’origine di tali problemi. Se il mondo, o semplicemente la propria vita, sembra sfuggirci di mano, allora quale cosa più semplice di trovarne dei diretti colpevoli, sfogo alle frustrazioni in noi generate?

Se poi esaminiamo la questione sotto il punto di vista dei problemi politici che possano insistere su di un paese, cercare i colpevoli per i più grandi problemi sociali non è in sé sbagliato, anzi, talvolta porta a un centro incremento del proprio senso civico. Il problema è che spesso tale ricerca non viene compiuta con la dovuta attenzione all’indagine critica e ponderata e, quindi, con la dovuta pazienza. Complice la predetta frustrazione, si sente che la politica non funzioni e che ciò leda direttamente le proprie vite personali, e che qualcuno debba esserne totalmente colpevole. In tal caso, di nuovo, la risposta più semplice concerne il dare la colpa agli altri. Il mondo, la società, la politica, non funzionano perché è colpa degli altri, si pensa. Se non riesco a cambiare le cose è perché gli altri “remano” in direzione opposta; è perché l’ottusità, la cecità, l’ignoranza altrui vanificano i miei sforzi andando in una direzione diametralmente opposta.

Ragionando attentamente, è tuttavia agile smontare questa asserzione. Anzitutto, bisogna chiarire di cosa si intende accusare gli altri. Più che di cecità e di ottusità, di cui ovviamente non è facile stabilire in quanti ne soffrano, ciò di cui si accusa gli altri è di essere afflitti da ignoranza. Allorché le proprie idee o scelte politiche non vengano condivise dalla moltitudine, o dalla maggioranza, allora se ne consegue che la maggioranza sia ignorante. È realmente così? È realmente possibile ridurre tutto a ciò?

Il significato del termine ignoranza inerisce al fatto che un individuo ignori qualcosa, in qualsivoglia ambito e su qualsiasi tema. Banalmente, si tratta di non conoscere. Rendendo giustizia al termine, ogni individuo su questa terra è ignorante in una miriade di campi, e in merito a una miriade di questioni. Ognuno di noi, da colui che meno tempo ha passato a studiare uno o più oggetti nella propria vita, a colui che ha fatto l’esatto opposto, ignora un’infinità di cose.

Ma allora, della mancanza di quali nozioni intendiamo tacciare d’ignoranza coloro che compiono scelte politiche, idealistiche, o di vita, diverse dalle nostre? Anche riuscendo a dare una precisa risposta, una volta stabilito ciò occorrerebbe poi indagare costoro uno per uno per verificarne la mancata conoscenza di tali nozioni. E ancora, vorremmo forse ipoteticamente porre la conoscenza di un preciso insieme di nozioni come requisito all’ammissibilità dell’opinione altrui in merito a una specifica questione? In tal caso potrebbero esprimere un’opinione pochissime persone in merito a ognuna questione, forse addirittura un solo individuo per questione, giacché, quand’anche ci si trovasse a dover discutere di qualcosa che si conosce a menadito, o che si ha studiato profondamente, potrà esistere sempre qualcuno che possegga maggiori o più approfondite conoscenze in merito.

Secondo tale punto di vista una sola persona a rotazione potrebbe esprimere la propria opinione su un unico argomento, quello per il quale le proprie conoscenze eccellono, o votare, o compiere scelte politiche, in netta opposizione alla democrazia, anzi, in una sorta di “monarchia” in cui a rotazione governasse il più esperto in merito alla questione in esame. Un sistema incredibilmente difficile da sostenere, e che inoltre non tiene conto di un banalissimo fatto: la conoscenza in sé, quand’anche essa sia la più completa possibile, non porta in maniera assoluta e imprescindibile al compimento di scelte corrette.

Ciò in quanto non vi è un legame diretto tra conoscenza e assoluta perfezione delle proprie posizioni. Le idee di ognuno non si sviluppano solo e semplicemente per mezzo della conoscenza di un argomento. Differentemente, tutti coloro che dovessero condividere conoscenze simili dovrebbero per forza sviluppare idee simili. Anzi, dirò di più, spesso la conoscenza e lo studio diventano secondari, fornendo semplicemente un sostegno, o un avallo, alle proprie idee. A forgiare le proprie idee, a dargli una precisa identità, sono invece spesso, soprattutto, i sentimenti umani. Non abbiamo, infatti, dimostrato come a tacciare d’ignoranza la maggioranza per i mali politici di cui soffra uno stato, non sia nient’altro che la risposta al sentimento della frustrazione che porta all’incapacità di accettare l’opinione altrui?

Non è un problema di sola lana caprina. Ciò che più danneggia lo stato è proprio la disgregazione sociale susseguente al fatto che, trainati dalla frustrazione e dall’impazienza di dover per forza additare come colpevole di situazioni avverse qualcuno, si perda completamente di vista una fondamentale nozione, quella di imparare ad ascoltare gli altri, ad accettare i punti di vista diversi dai nostri.

Se tutti accettassimo la diversità altrui, se tutti facessimo nostra la pazienza e ci predisponessimo per ascoltare gli altri, se iniziassimo i discorsi anche che sentiamo più caldi, ponendoci l’obiettivo di raggiungere una più alta conoscenza delle cose giovandoci delle opinioni diverse dalle nostre, allora una volta raggiunto tale obiettivo, tutti i partecipanti terminerebbero un discorso incrementando la loro conoscenza delle cose. E notate bene che già semplicemente accettare l’esistenza di punti di vista diversi dai nostri è sufficiente ad allargare i nostri orizzonti e rendere più complete, più sensibili, le nostre idee.

Se tutti si imparasse, dunque, ad accettare le opinioni altrui e, anzi, a predisporsi umilmenteimparare dagli altri, allora tutti usciremmo da ogni discorso più saggi di quanto non eravamo prima, e disposti, quando necessario, ad accettare di avere sbagliato. Inoltre, è proprio ciò che unisce le persone, le rende più salde e crea un legame di fratellanza fra esse, rinsaldando l’unità e predisponendo tutti, umilmente, a lavorare uniti per il benessere generale.

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