Cosa combina l’economia? Dove ci sta portando?

banconote e salvadanaio

Il contesto economico in cui oggi viviamo è quello di un capitalismo globalizzato. Il capitalismo è un sistema economico che, sulla base dei bisogni degli individui (domanda di mercato) investe del denaro (il capitale) al fine di rispondere a quei bisogni offrendo un determinato prodotto o servizio (offerta di mercato). Domanda e offerta rappresentano i pilastri del capitalismo. Immaginiamo di trovare questi due soggetti sui piatti di una bilancia. Ogni volta che una delle due parti diviene più pesante si crea uno squilibrio, a cui il sistema, nella sua interezza, tenta di rispondere, riportandolo a una situazione di equilibrio. Le teorie economiche liberiste sono quelle che sostengono che, a ogni squilibrio nel capitalismo, le forze all’interno di esso agiscano per riportare automaticamente il sistema al suo equilibrio.

Ma in cosa consiste, idealmente, tale equilibrio? Consiste in una situazione in cui la domanda umana (di ogni bene e servizio di cui necessita) viene interamente e perfettamente soddisfatta dall’offerta. Ossia: il lavoro di tutti gli esseri umani è perfettamente sinergico, come diretto da un’impeccabile direttore d’orchestra, a far sì che tutti gli individui siano occupati (ergo, non esista disoccupazione), e che tutti loro abbiano tutto ciò di cui necessitano per vivere.
Abbiamo analizzato come dovrebbe funzionare il capitalismo, ora vediamo come realmente funziona.

Il capitalismo vive di domanda. Esso è un sistema di produzione interamente dipendente dalla domanda. Se manca la domanda non c’è niente da produrre, banalmente. Ovviamente, l’uomo ha sempre dei bisogni, per cui una certa quantità di domanda, seppur minima, esisterà. Ma basterà a soddisfare i bisogni, anche minimi, di tutti? Basterà a dare un’occupazione a tutti gli individui e a far si che ognuno di essi abbia di che vivere?
Cerchiamo di capirlo esaminandone il funzionamento vero e proprio. Il capitalismo è costituito da cicli. Partendo da un ipotetico punto 0, o prima fase, caratterizzato da sottosviluppo e povertà, la presenza di una forte domanda di beni di primo consumo, costruzioni e quant’altro, attira capitali da parte di chi intende investire per averne un ritorno economico; fornisce, cioè, lo stimolo sufficiente affinché ci sia bisogno di investire ingenti risorse per soddisfare la domanda e avviare un ciclo di crescita.

Si passa così alla seconda fase, quella di investimento e progressiva crescita economica: ingenti risorse vengono immesse per soddisfare la forte domanda, cioè per costruire fabbriche, approntare i macchinari necessari, ottenere i prodotti necessari che poi saranno venduti. Questa è altresì la fase in cui si assume tanto personale, e sembra che ne necessiti sempre di più. Più capitali vengono immessi, e più altri e nuovi capitali vengono attratti, influenzati euforicamente dalla possibilità di ottenere profitto. Pian piano che gli ingenti mezzi impiegati per produrre, che la produzione, riesce a soddisfare la domanda, però, ecco che il lavoro di quel personale inizia gradualmente a perdere la sua utilità, parte delle forze produttive messe in atto, i macchinari, le fabbriche stesse, servono sempre meno, dal momento che la grande domanda sta pian piano venendo soddisfatta. Questa è la terza fase del capitalismo, quella in cui si è costretti, dal crescente soddisfacimento della domanda, a eliminare gradualmente le forze produttive e i mezzi di produzione messi in campo; è ciò che viene chiamata crisi economica.

 

Ciclo del capitalismo

 

È tale la natura del capitalismo. Esso è come un fuoco che arde troppo avidamente, e più brucia l’ossigeno da cui dipende più ne cerca dell’altro, finché, consumato quasi tutto quello disponibile, non rimane che una flebile ombra della grandezza che aveva un tempo raggiunto. Quando ciò accade, quando cioè ha distrutto gran parte di ciò che ha costruito, allora, forse, risorge come una fenice dalle sue ceneri, e inizia così un nuovo ciclo. E qui entra in gioco un gran dilemma:

Come far risorgere il capitalismo? In che modo avviare un nuovo ciclo economico?

Partiamo anzitutto da dove eravamo rimasti, cioè il terzo punto, e analizziamolo a fondo, per poter poi rispondere a questa complessa domanda. Vi sono due tipi di crisi economiche:

-quelle contingenti, ossia inerenti a un determinato e relativamente breve periodo

-quelle profonde, proprie del capitalismo in sé stesso, quelle cioè che si innescano quando un ciclo, di cui abbiamo parlato finora, arriva al termine

Le prime sono crisi innescate da fattori passeggeri ed estranei (in un certo senso) al ciclo che abbiamo testé descritto; esse certo inficiano il corretto funzionamento dell’economia, talvolta in maniera da creare danni che possano anch’essi concorrere ad avvicinare il capitalismo alla sua terza fase, tuttavia, non sono la concretizzazione della terza fase, ossia la crisi profonda. Facciamo degli esempi di cosa può ricadere in tale categoria:

-“esplosioni” di bolle finanziarie

-comportamenti fraudolenti e corruttivi (da parte di amministratori delegati di importanti aziende, funzionari statali, uomini politici, e così via.. ) tali da ledere in parte e lentamente il tessuto economico

-un meteorite cade su Wall Street/ gli alieni bombardano Wall Street. [Ironico]

Sulle seconde, ossia sulle crisi economiche profonde, c’è poco da dire, tranne che elementi di esse sono sempre presenti a partire dalla prima fase del capitalismo; si manifestano tuttavia più pesantemente avvicinandosi alla terza e ultima fase, quella in cui si palesano, e la carenza di domanda diventa evidente in tutti i suoi effetti.
La crisi dei cosiddetti subprime esplosa nel 2007 negli Stati Uniti è un esempio di crisi contingente; che ha rivelato, però, sotto di essa, l’attuale reale natura del capitalismo globale, quella crisi profonda in cui versa e che oggi viviamo in pieno.

Siamo in grado ora di rispondere alla nostra domanda

Come si avvia un nuovo ciclo economico? Il potere politico entra qui in campo. Le scelte politiche di oggi condizioneranno l’economia, traghettandoci dalla fine dell’attuale ciclo verso l’inizio di quello successivo, determinandone poi la sua fisionomia. Vediamo quali scenari possibili potrebbero verificarsi come seguito della fase di crisi profonda del capitalismo:

una rivoluzione industriale, un cambiamento epocale a livello tecnologico che produca un’immissione enorme di nuova domanda, nuova linfa che costringa a mutare i vecchi mezzi e sistemi di produzione in nuovi, avviando un nuovo ciclo del capitalismo

-l’incapacità di rispondere politicamente con efficacia e prontezza provocherebbe un prolungamento della stagnazione economica, tale per cui non si riuscirebbe a fornire nuovo stimolo all’economia, e la domanda continuerebbe a calare e ad assottigliarsi arrivando a coprire sempre più solo i bisogni fondamentali e immediati dell’uomo. Risultato di ciò sarebbe una grande povertà, un’enorme disoccupazione che, unite, avvicinerebbero l’economia alla prima fase di un nuovo ciclo. Resterebbe poi solo da vedere come e dove si indirizzerebbero le risorse economiche rimanenti per l’avvio del nuovo, eventuale, ciclo.

una guerra. Le guerre distruggono tanto e, oggi, a una velocità spaventosa. La guerra mette in moto più di ogni altra attività umana risorse immense di capitali. La domanda prodotta dall’impegno bellico crea lavoro, e tutto ciò che si distrugge (anche in terra straniera, se poi ce ne si assume l’impegno) va ricostruito, offrendo nuovo lavoro. Ammesso che qualcuno rimanga vivo (e non ci nuclearizzassimo tutti) per poter usufruire della tremenda distruzione e della necessità di ricostruire, si creerebbe una finestra d’opportunità per l’avvio di un nuovo ciclo. Di nuovo vale l’affermazione precedente: resterebbe poi solo da vedere come e dove si indirizzerebbero le risorse economiche rimanenti per l’avvio del nuovo, eventuale, ciclo.

Questa vuole essere, in breve, un’analisi oggettiva della nostra economia, delle dinamiche basilari che la interessano e delle possibili prospettive future.

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