La capacità di uno stato di crescere economicamente e socialmente, di fornire ai propri cittadini un ambito in cui gli siano garantiti tutti i diritti, fra cui la possibilità di scegliere il percorso lavorativo che più si desidera, e di poter lavorare per se stessi e per il benessere dello stato in generale è data, in ottima parte, dalle risorse economiche di cui esso dispone. Per governare sulla popolazione, per corrispondere ai cittadini i servizi necessari, per garantire la predisposizione di una burocrazia efficace ed efficiente al fine di sostenere e stimolare lo sviluppo economico e la crescita, al fine stesso di creare quel substrato necessario al raggiungimento di un più elevato benessere generale, lo stato necessita di denaro.
Vi sono diversi canali per ottenere le risorse economiche, fra cui, ad esempio, l’indebitamento pubblico attraverso l’emissione di titoli di stato. Ancora più in principio, il primo mezzo con cui uno stato si garantisce i mezzi economici appropriati per raggiungere i suoi obiettivi è la riscossione delle tasse. In un sistema economico, ma soprattutto sociale, idealmente perfetto, privo cioè delle piaghe sociali della corruzione, del clientelismo, della malamministrazione, lo stato pretenderebbe dai suoi cittadini una tassazione anzitutto sostenibile da tutti, secondo le loro possibilità, e adeguata a permettere di ottemperare agli scopi di cui parlavamo più sopra, e solo a tali scopi sarebbe poi utilizzata.
Le intenzioni nascoste dietro la volontà di legittimare la tassazione
Abbiamo appena illustrato il motivo per cui lo stato richiede delle tasse ai cittadini: per fornirgli ogni mezzo necessario alla protezione dei loro diritti, economici, politici e sociali. Basterebbe dunque, allo stato, valutare e definire un budget annuale volto a coprire tutte le spese in cui dovrà incorrere per ottemperare a tali scopi. Poi, sulla base delle possibilità di ogni cittadino, richiedere da ognuno di essi una percentuale tale che permetta loro di continuare non solo a sopravvivere, ma a vivere dignitosamente, anche al fine di poter continuare a lavorare e a spendere, fornendo nuova linfa all’economia, beneficio per lo stato nella sua interezza.
Tuttavia, il nostro sistema non funziona così: in esso le tasse vengono richieste singolarmente, se ne trova (o meglio se ne idea) una giustificazione per ognuna di loro e, infine, e cosa ben più grave, esse vengo richieste ai cittadini senza che ci si preoccupi di verificare le condizioni economiche di ognuno, proponendo talvolta una tassazione insostenibile, tale addirittura da portare molti alla povertà.
In uno stato reale e non ideale, ed esaminiamo dunque il nostro stato, dal momento che ci interessa da vicino e che lo conosciamo bene, vivendoci, in un clima, quindi, in cui molti operano al fine di ottenere solamente benessere per sé stessi, troppo spesso speculando sulle apprensioni dei cittadini, le tasse divengono oggetto principale di campagne politiche focalizzate sulla loro riduzione o sull’eliminazione, parziale o totale, di alcune di esse. Risulta quasi superfluo evidenziare come tali mosse attengano, nella maggior parte dei casi, alla sfera della pura demagogia.
Questo essenzialmente per due motivi. In primo luogo poiché, puntualmente, all’eliminazione di una tassa che potremmo definire socialmente rilevante, ne viene aumentato l’importo di altre, o ne vengono perfino create di nuove, purché esse vengano percepite come meno rilevanti dall’opinione pubblica. In secondo luogo, in realtà lo stato non può mai fare a meno di riscuotere le tasse, poiché, così facendo, si priverebbe proprio di quei fondi necessari ad amministrare la cosa pubblica di cui parlavamo, ed è proprio in tale argomentazione a essere contenuta la loro legittimità. Giustificare l’esistenza di un’imposta, e darne un nome e un’apparente motivazione che non sia quella che abbiamo testé fornito, serve nient’altro che a legittimare questa o quella linea politica. Addurre una motivazione singola a una specifica tassa produce solamente l’effetto di renderla strumentalizzabile. Oltretutto, come abbiamo già affermato, l’unica legittimazione della tassazione sta proprio nel fatto ch’essa sia indispensabile allo stato per svolgere i suoi compiti.
In uno stato perfettamente funzionante le tasse non avrebbero un nome, un riferimento, bensì sarebbero accettate da tutte perché giuste, non solo in merito alla loro stessa natura di elemento necessario allo stato, ma anche in quanto esigerebbero da ogni cittadino una cifra che comprenda l’intero importo dovutogli, tenendo conto delle differenze di capacità economiche fra gli stessi cittadini.
Ma ancora potrebbero obiettare, sempre quegli scaltri opportunisti, che essi si sentano in dovere di giustificare ogni tassa per garantire trasparenza nei confronti dei cittadini. Ma non vi sembrerebbe ancora più trasparente a tal fine, mi domando, fornire a tutti i cittadini un documento concernente il budget totale annuale richiesto dallo stato, con le relative voci di spesa da sostenere? Ciò corrisponderebbe di certo alla necessità di fornire trasparenza; non giustificare in alcun modo una tassa, cancellarne un’altra per ottenere voti e nel frattempo crearne di nuove per ottenere sempre gli stessi guadagni o addirittura maggiori senza, tra l’altro, che i cittadini possano accedere a un qualunque budget, senza avere, cioè, la minima idea di come le ingenti tasse che gli vengono richieste siano poi utilizzate.
I danni prodotti da una tassazione esageratamente elevata e mal distribuita
La realtà a cui, purtroppo, siamo costretti ad assistere, è quella di una tassazione eccessivamente elevata e mal distribuita che finisce per incidere in maniera talmente determinante da spingere intere fasce di cittadini sull’orlo della povertà, se non quando nella povertà stessa. In questo modo le piccole e medie imprese si trovano troppo spesso strozzate dall’ingente peso di imposte che, frequentemente, servono a coprire i danni provocati dalla malamministrazione o, ancora peggio, dalla corruzione in seno agli organi statali. Tutto ciò mentre le fasce più ricche del paese, quasi paradossalmente, se non fosse che in realtà ciò risponde a criteri di freddo calcolo egoistico, non partecipano all’accrescimento del benessere dello stato in cui essi stessi vivono, tramite le imposte, se non in percentuali irrisorie.
Necessita, inoltre, porre attenzione a un altro aspetto del problema, non solo a quello attinente alla bontà del principio in sé. In termini meramente economici, la sempre maggiore povertà prodotta dall’attuale sistema lede lo stato in maniera più pesante di ciò che spesso si pensa. Ciò in quanto lo stato non se ne fa niente di una massa di poveri, in primo luogo perché essi un tempo avevano un’occupazione che ora hanno perso, e quindi non sono più produttivi, non sono più in grado, in alcun modo, di accrescere il benessere generale dello stato ma, anzi, finiscono per essere solo un peso per l’economia nel suo complesso, dato che pur non producendo devono comunque consumare qualcosa per sopravvivere, e, per ultimo, da loro non si può più riscuotere alcuna tassa. Ecco come una tassazione esageratamente elevata e maldistribuita, anche sotto il punto di vista meramente venale, finisca per produrre un effetto boomerang, privando lo stato di ulteriori risorse economiche anziché accrescerle, e spingendolo sempre più verso il baratro del fallimento dei suoi scopi.
Altro effetto di una tassazione insostenibile per molti è lo sviluppo e l’incremento dell’evasione fiscale, che diventa, per tantissimi individui, un mezzo per riuscire semplicemente a stare a galla e a sopravvivere. Essa, tuttavia, non fa che aumentare ulteriormente i problemi economici dello stato, privandolo delle risorse necessarie ad accrescersi e a porre le condizioni per il suo migliore sviluppo, in un circolo vizioso apparentemente senza fine. Questo fenomeno merita di essere esaminato in un apposito discorso, a cui dedicherò più avanti un articolo.