Clientelismo, corruzione e malamministrazione

la morte di Giulio Cesare (clientelismo corruzione e malamministrazione)

Abbiamo già affrontato, in precedenza, il discorso relativo al fenomeno della corruzione. Ne abbiamo dato una definizione, spiegato il motivo per cui essa sia estremamente nociva per il benessere generale dello stato e degli individui che lo compongono, e abbiamo infine accennato a come combatterla.

In merito ai danni che essa può produrre non siamo stati tuttavia esaustivi, per ovvie ragioni di spazio. Ci prenderemo adesso, dunque, il tempo necessario a esaminare più in profondità questo aspetto del tema. Parleremo, nello specifico, dell’insorgere e dello svilupparsi della relazione triadica tra clientelismo, corruzione, e malamministrazione.

Il clientelismo è una forma di coinvolgimento politico che si basa sul rapporto patrono-cliente: il primo garantisce al secondo una sorta di “protezione“, il secondo ricambia con fedeltà e sostegno. In termini generali, è una pratica che instaura una serie di favoritismi e scambi, che possono avere oggetti anche diversi tra loro, come ad esempio un posto di lavoro in cambio di un voto politico, o il mettere a disposizione delle specifiche competenze tecniche in cambio di un compenso.

Il clientelismo si sviluppa a vari livelli, dal piccolo funzionario pubblico che richiede e accetta un compenso personale per svolgere più rapidamente o meglio l’incarico che è tenuto a svolgere (ciò per cui lo stato lo retribuisce), a quello che si sviluppa ad alti livelli, il clientelismo di chi usa il proprio prestigio e le risorse pubbliche a cui riesce ad accedere, per distribuirle ad altri in cambio di un corrispettivo che può essere di vario genere (denaro, fedeltà politica e quindi voti, e così via).

Il clientelismo presenta seri rischi per la democrazia, in quanto delegittima i partiti politici, i quali non divengono più fautori e protettori delle istanze del popolo, ma si trasformano in strutture che distribuiscono favori in cambio di voti, al solo e unico fine di ottenere delle cariche, che, in ultima istanza, si trasformano in nuovo potere e denaro. Come se ciò non bastasse, il clientelismo impedisce di programmare in maniera coerente la spesa pubblica, giacché gran parte del denaro pubblico non viene più riservato alla pubblica utilità ma finisce, appunto, ad alimentare nuove clientele.

Gustave Boulanger, The flute concert (clientelismo nell'antica Roma)
Il clientelismo nell’antica Roma. Il dipinto rappresenta un patronus che accoglie dei clientes nella propria dimora

 

Le interazioni fra il clientelismo e la corruzione

Come interagisce il clientelismo con la corruzione? In realtà i due termini non indicano fenomeni poi così differenti, la distinzione diventa spesso accademica. In ambito accademico, appunto, si dice che la corruzione comporti uno scambio tra decisioni pubbliche e denaro, mentre il clientelismo tra protezione e consenso, e che mentre la corruzione comporta un agire illegale, il clientelismo, per quanto disdicevole e dannoso per il benessere generale dello stato, non sia illegale nel senso più stretto del termine. Ad ogni modo, e per chiarirci le idee, entrambi comportano relazioni di scambio, e la loro presenza lede, come già abbiamo dimostrato (in questo e nel precedente articolo sulla corruzione), le istituzioni e lo stato nella sua interezza.

Non finisce qui. La presenza del clientelismo, infatti, produce come conseguenza quella di dare origine e facilitare la diffusione di “partiti pragmatici“, e di politici che vedono la loro attività come un vero e proprio esercizio imprenditoriale. Il sedimentarsi di queste forme di esercizio della politica sfocia, come risultato, nella vera e propria corruzione, seguendo un percorso prestabilito. Quando in una società si presenta il clientelismo nelle sue forme più blande, come quella del piccolo incaricato pubblico che accetta doni o favori per svolgere semplicemente il lavoro che gli spetta di dovere, se non repentinamente fermate e opportunamente combattute, con il passare del tempo queste pratiche vengono assorbite dalla società, e riprodotte anche ai più alti livelli istituzionali. In quei luoghi il clientelismo si manifesta nel voto di scambio (suffragi in cambio di favori). Tale utilizzo della politica e dei mezzi istituzionali, oltre che propriamente dei fondi economici dello stato, fa sì che la necessità di acquistare i voti aumenti i costi della politica, incrementando sia la spesa pubblica, che la propensione alla ricerca di fondi illeciti, reperibili tramite la corruzione.

Quando, cioè, i politici necessitano di reperire nuovo denaro per acquistare nuova fedeltà politica, finiscono per cercare chi li corrompa. Per fare un esempio pratico, essi divengono disponibili ad accettare del denaro da alcune imprese (talvolta criminali), in cambio della loro disponibilità a fare pressioni istituzionali allo scopo di far vincere a tali imprese delle gare d’appalto per la costruzione di opere pubbliche. Questa situazione di coesistenza di clientelismo e corruzione fa sì che i politici corrotti diventino più competitivi rispetto a coloro che sono onesti. Potere e denaro divengono così i mezzi che alimentano il clientelismo e la corruzione, creando un sistema che si autoalimenta bruciando sempre più risorse e denaro pubblico, ledendo sempre di più lo stato.

Le conseguenze

Al diretto impoverimento dello stato, che perde risorse atte al suo mantenimento in favore dell’alimentazione di clientelismo e corruzione, oltre che all’utilizzo dei poteri istituzionali in maniera scorretta, consegue direttamente la malamministrazione. Oltretutto essa, quando molto diffusa, provoca sfiducia nel godimento dei diritti di cittadinanza, ossia fa sì che il cittadino normale si convinca di non poter richiedere alle istituzioni pubbliche il riconoscimento di ciò che gli spetterebbe di diritto, spingendolo invece a ricercare canali privilegiati, provocando così l’innalzamento della domanda di clientelismo e corruzione, dando nuova linfa e facendo ricominciare il nefando circolo.

La società, sempre più corrotta, arriva a stringere rapporti occulti a ogni livello sociale, dal piccolo operaio all’uomo di finanza, dalla piccola e media borghesia ai grandi industriali, dalla politica alla malavita e al crimine organizzato. Lo sviluppo di clientelismo e corruzione ha prodotto un uso patrimonialista e quasi personale delle risorse pubbliche. Espressione più chiara di questo fenomeno è data dall’imprenditore che paga la tangente al politico per vedersi corrisposto un incarico pubblico, giurandogli in cambio fedeltà votandolo. Questa crisi di regolazione sociale ha creato terreno fertile per il dilagare delle organizzazioni di stampo mafioso e criminale, che all’interno dell’organizzazione pubblica hanno inserito in profondità i loro artigli, modernizzando e rafforzando la loro azione.

È un circolo infinito che rende l’accesso ai ruoli dirigenziali e alle assemblee rappresentative ma, più in generale, sia ciò che semplicemente spetta al cittadino che ciò che non gli spetta, subordinato al possesso di potere e denaro; quest’ultimo è lo strumento che corrompe, che rende più competitivi i corrotti in quanto maggiormente in grado di redistribuire favori, potere e nuovo denaro, e che pretende sempre di accrescersi, aumentando i costi delle politiche e delle opere pubbliche, originando inevitabilmente un sudicio circolo vizioso che lega a sé clientelismo, corruzione e malamministrazione. In questo contesto viene leso lo sviluppo economico, rafforzando la tendenza a favorire l’imprenditorialità politica, la corruzione e un maggiore e più florido sviluppo per la criminalità organizzata.

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